Copertina per il post "cosa fare coi vecchi personaggi"
Vita da artista

Cari vecchi nuovi personaggi

Ritorno dopo un lungo periodo estivo fatto di morte, ipercaldo e lavoro. Adesso che rinfresca magari ce la faccio anche a sistemare questa caterva di appunti che avevo iniziato.
Il primo post di settembre parla di un argomento semplice semplice, a cui avrà un seguito ‘macro’ nei prossimi giorni.
Come ogni argomento semplice e, in fondo, che ubbidisce alla propria situazione, l’ho visto spesso dibattuto a botte di dogmi, regole auree e apparizioni mariane che concili papali e imperiali scansatevi:

” Che fare coi nostri vecchi personaggi? “

Ogni autore ha una serie di personaggi che ha creato e a cui è affezionato. Questo succede perché spesso tali personaggi sono connessi al momento particolare della loro vita, particolarmente felici o depressi. Non si tratta quindi di semplici sagome create apposta per un progetto, ma un costrutto che ha accompagnato l’immaginario di una persona per lunghe parentesi della propria vita. Questo capita sia a chi poi racconta storie, sia a chi gioca di ruolo, con lunghe campagne.
Ma capita anche spesso che questi personaggi siano fuori asse rispetto ai nostri progetti creativi, quando riusciamo a pianificarli. Davvero il loro destino sarebbe di essere semplicemente cancellati?

L’Avvento dei Primogeniti

Quando parlo con altre persone creatrici di storie su vari media, la cosa che accomuna tutti è l’entusiasmo di parlare del proprio cast. Soprattutto dei preferiti. Questi sono i Primogeniti, i primi personaggi creati e che si portano dietro da praticamente tutta la vita. Nascono dalla mente giovanile, dalle storie che abbiamo consumato che hanno avuto tanto impatto su di noi. Dai giochi che abbiamo fatto e da tutto ciò che ci ha molto coinvolto emotivamente.

Questi personaggi crescono molto, hanno background molto dilatati e complessi. In molti casi, sono alter ego dei loro stessi creatori. Capita anche che la persona non abbia mai scritto un romanzo completo, o non abbia nessuna intenzione di pubblicarlo. Lo abbia creato per sé stesso e le persone immediatamente vicine. Ma il o i personaggi restano con lui per tutta la vita. Fantasticandoci su o, quando trova personalità affini, anche immaginare che possano essere amici a loro volta.

Cancellare o Adattare?

Trovo due vaste scuole di pensiero:

La grande famiglia

La prima è che l’autore è così innamorato, entusiasta e protettivo da riuscire a immaginare e usare tutti i suoi personaggi, architettando intere saghe. Essendo spesso degli alter ego piuttosto che tagliarli dalle loro storie per banali motivi di ordine si taglierebbero una mano. Non se ne priverebbero mai e, se non sono in autopubblicazione, sognano di quando potranno raccontare le loro meravigliose avventure. Spesso l’architettura complessa si appoggia sui mood delle cose che hanno più fruito, in un connubio molto particolare di innovazione e tradizione, che rende le loro opere davvero molto ricche e dense. A volte magari troppo.

L’urbanista

Questi personaggi datati sono considerati un orpello, quasi come ogni oggetto di scena. Non valutandoli abbastanza spendibili, una volta esaurita la funzione di esercizio perché densi di ingenuità, vengono semplicemente eliminati. Ci si concentra sulla pianificazione corrente delle altre opere. I personaggi quindi non sono altro che un dispositivo narrativo da approfondire e usare quel niente che basta per l’opera in essere, che servirà ad arrivare a un’opera diversa e così via. Personaggio, oggetto magico, elemento scatenante: sono tutte voci pratiche da gestire per confezionare una storia. Serve un personaggio amico dei Panda? Il personaggio sarà amico dei Panda. Al prossimo giro servirà che sia un cacciatore di Panda? Lo sarà.

Se questo da un lato è molto pratico e pulito come mood, perché consente un certo distacco emotivo dall’opera e riesce a mantenere una relativa agilità nello spostare e riordinare gli elementi, dall’altro è più appiattente. Dopo la terza / quinta opera si nota.
L’autore è affezionato allo schema che ritiene vincente. Diventa ripetitivo, e i personaggi a un occhio allenato assumono i limiti delle maschere correnti e hanno una profondità relativa. Si nota soprattutto in autori (internazionali, ma anche qui) molto prolifici, sia che siano una saga con lo stesso eroe eponimo o che esclusivamente autoconclusivi. Per i lettori è una modalità che si ama spasmodicamente o se ne fruiscono solo un paio.

Pare quindi che la scelta sia o la cancellazione o la realizzazione nonostante tutto. Io per il mio lavoro ho preferito una soluzione alternativa, e cioè: il riadattamento.

Amare il proprio mondo: Miranthall

Un esempio molto bello di autori innamorati del loro mondo sono i Miranthall: Re Adrek e Regina Elaine. Hanno creato un loro mondo dettagliato fino alle mappe, calendari, tradizioni in cui i loro personaggi si muovono in lungo e in largo, fatto sia da fumetti, illustrazioni e romanzi indipendenti.
Li trovate nelle fiere soprattutto dell’area piemontese, e online!

Il mio caso: le sorelle

Uno dei buoni propositi del 2024 era riuscire a scalettare e rifinire il mio progetto chiamato Hiraeth (ne avevo parlato QUI). Questo progetto è uno dei miei più antichi e dove il worldbuilding è davvero molto ricco. Alcuni di questi problemi me li sono creata da sola nel corso di questi anni. Alcune scelte e caratterizzazioni, appunto, non rispondono più alle necessità narrative. Hiraeth è il mio secondo progetto più antico, e molte cose ho imparate a gestirle più tardi. Ne consegue che dovendoci rimettere mano per restaurarlo dall’inizio alla fine devo per forza rivedere alcuni passaggi.

Nel mio personalissimo “caso” avevo creato un personaggio, che chiamerò A..
A. è importante per la trama, non è la protagonista ma quasi. Aveva un suo quadro molto particolare ma, dato che molte cose sono mutate attorno a lei, all’inizio non è stata al passo coi cambiamenti.
Ho fatto uno sketch rapido giusto per testarne i nuovi abiti – anche perché dovevo controllare se i copic e pantoni funzionavano ancora.

Disegno sketch di due miei personaggi.
A. e M. (copic, china; fotografia, bruttina come sempre)

Come altri personaggi nel restauro ho provato a modificare vari aspetti: dal fisico all’estrazione sociale, dal ruolo primario allo sfondo, fino alla decisione più drastica: cancellarla.
A. potrà magari vivere in un’altra storia. Così facendo, essendo il suo destino legato indissolubilmente a un’altra, M. e destinate a incontrarsi praticamente mai fino alla fine, forse mi veniva più facile estirparle tutt’e due.

Non si sa mai dove puoi trovare un’idea

Ci ho davvero pensato su per un sacco di tempo a loro due. Mi creavano una singolarità poco digeribile nel worldbuilding: io non faccio eccezioni, nessuno è così speciale da non avere uno spiego del perché è particolare che possa travalicare i confini dell’assurdità. Se c’è un sistema quello è e deve funzionare sempre, si inceppa solo per motivi veramente tosti. Il motivo per cui come archetipo mi piace molto Il Prescelto, ma lo uso davvero pochissimo. Da una parte pretende un mondo complesso, dall’altra che lui/lei possa incepparlo facilmente rischiando molto il “perché sì”.
A. si affacciava a una piega della trama molto complicata perché stratificata nella cronologia profonda del worldbuilding. Quindi oltre a gestire lei, sto anche cercando di restaurare questo aspetto, complesso, antico e appunto stratificato a cui mi serviva una risposta moderna.

In effetti eradicarle sarebbe stato molto più facile. Il problema è che la caratterizzazione stessa di A. e il suo rapporto coi protagonisti poi ne avrebbe penato: A. è quella che ha l’approccio più scientifico a tutto. Ci ho pensato su per un sacco di tempo, a riprova che se una soluzione la si cerca apposta non la si trova mai e poi per caso arriva per un insieme di accidenti casuali e di letture incrociate. Perché non si sa mai dove puoi trovare un’idea.
Mi sono accorta che nelle mie storie avevo pochissime situazioni legati alle sorelle.
Ho gruppi familiari numerosi ma molto misti, ma mi mancava proprio una coppia sorella/sorella, che è un legame molto particolare. Quindi questa era un’ottima occasione.
Questo, e complice il fatto che stavo cercando informazioni astronomiche, mi sono imbattuta per caso in un’intervista a William Shatner (il capitano Kirk di Star Trek). Il connubio di cose mi ha fatto trovare una soluzione prima alla stratificazione di cronologia (imbarazzantemente semplice, col senno di poi).

Mi ha portato a rimettere in campo A., e cambiare l’ordine dei rapporti con M.: non più sconosciute ma sorelle.
Cresciute assieme, diversissime tra di loro.
Ho cambiato completamente la caratterizzazione di M.. Ha un ruolo più smagliante, mentre A. è cambiata poco ma i suoi punti di forza sono più valorizzati. La sua caratterizzazione più razionale e scientifica mi ha portato a trovare un legante migliore proprio sul problema che avevo in cronologia per estensione quasi casuale. Ora ho un movente strutturale e razionale e regge molto meglio tutto l’impianto narrativo.

Conclusione: la soluzione è sempre personale

A me non piace cancellare i personaggi o gli avvenimenti. Se li ho immaginati erano responsivi di un determinato contesto, o erano molto scenici: l’unico ostacolo tra quello e la resa finale è semplicemente la mia incapacità nel non riuscire a realizzarle come vorrei. Il problema dunque sta nel confine tra le nostre idee e la loro realizzazione materiale.
Trasportarli poi in una struttura narrativa che ha delle regole di ingaggio per la fruizione vuol dire renderle leggibili, e non sempre tutto funziona al 100%.
Se un’idea è buona e per me resta ancora comunicativa, cerco di scalpellinarla meglio, perché è raro che una scena esca bene al primo colpo. Questo porta di sicuro a delle modifiche drastiche rispetto al primo progetto che ho immaginato, ma di certo ne migliora gli aspetti.
L’unico dato che consiglio di valutare quando vi sentite al bivio tra cancellare / restaurare è di provare. Rivederne gli aspetti, pregi e difetti, alla luce della nuova coerenza interna dell’opera che state architettando. Tutti noi abbiamo dei personaggi per cui racconteremmo per centinaia di pagine anche le più piccole cose. Ma quando si pensa a trasmettere la storia a terzi, cioè un pubblico, bisogna trovare una chiave condivisa di comprensione, e questa funziona attraverso la coerenza, non il taglio a caso.
Se una cosa di un vostro personaggio vi piace anche se ciò lo rende molto particolare o fuori asse (sto pensando fortissimo a quella matta di Lily nella serie tv Sex Education, fissatissima con la fantascienza e i tentacoli spaziali -la adoravo), cancellarne le caratteristiche perché la stravaganza occupa ‘spazio’ nel vostro narrato e non è funzionale ai fini della trama e ricondurre il personaggio a una sorta di incarnazione dell’azione è molto limitante. Meglio un personaggio che ha il coraggio di essere sé stesso, anche se il suo ruolo è di qualche riga o vignetta.
Nei paragrafi di scritto non tutto deve essere “funzionale”: non è una vite dell’ikea o le istruzioni dei videogames per passare di schermata successiva. Anche un paragrafo in cui il personaggio sta seduto sul divano e si guarda attorno ha il suo ruolo nell’economia della storia. Dopotutto se siamo sopravvissuti ad Anne Rice con 60 pagine di patemi mentali e alle side quest delle side quest di Dumas1 possiamo sopravvivere a qualche riga ambientativa senza che debba essere per forza pratica come lo schema B della Billi ikea.

3 uomini e una Gamba.


Trovare la propria coerenza interna in modo che non capiti all’improvviso qualcuno che è scoordinato è decisamente più importante, e meglio: i personaggi non banalizzati e architettati a quattro dimensioni sono sempre decisamente più interessanti degli stereotipi di sé stessi.


1Guarda caso le cose che si leggono con più gusto.

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