Cultura,  Lettura

Marckalada – quando l’America aveva un altro nome

Marckalada

In un’opera scritta da un frate milanese del Trecento, Galvano Fiamma, si nasconde una breve menzione di una terra chiamata Marckalada, situata a ovest della Groenlandia: l’America. I marinai che viaggiano per i mari del Nord ne parlano come di una terra ricca di alberi e animali, dove si trovano grandi edifici e vivono dei giganti. È una notizia sensazionale: la prima menzione del continente americano nell’area mediterranea, un secolo e mezzo prima del viaggio di Colombo. Ma chi è Galvano Fiamma e da dove ricava queste informazioni? Cosa si sapeva davvero in Italia delle regioni al di là dell’oceano? Per rispondere a queste domande sarà necessario interrogare molti suggestivi personaggi: gli esploratori vichinghi che dall’Islanda approdarono sulle coste americane; il prete del porto di Genova, che tracciava carte geografiche; i mercanti che dal Mediterraneo si recavano al Nord per acquistare pellicce e uccelli da preda; gli imbarcati sulle galee genovesi scomparse nell’Atlantico mentre cercavano di raggiungere l’India navigando verso ovest. Il risultato è una ricerca appassionante come una spy story, una trama internazionale ricca di colpi di scena.

Solo un nome: Marcklada

Marckalada è un saggio che parla di filologia italiana, indagini, commerci, rotte oceaniche e di un’enorme non detto spesso mai considerato quando si parla di Storia: il sapere orale che ha viaggiato e prosperato lontano dalla parola scritta. Dietro a questa parolina così strana, Marcklada si cela una questione: l’America e i suoi nomi. E uno di essi è stato Marckalada.
Uno dei problemi più consueti che trovo è l’assoluta fiducia nella fonte scritta. Se Mimmo de’ Mimmi ha scritto X, sarà certamente vero e, per estensione se una cosa non è scritta, semplicemente non esiste.

Questo saggio, piuttosto agile e approcciabile da fruire. Illustra il processo di lavoro e costruzione di un’indagine di ricerca, fino a trovare la parola che si cercava – Marckalada – in un testo milanese del Trecento. Non uno dei più brillanti, magari, di un autore anche piuttosto bulimico di verve scrittoria, Galvano Fiamma. Galvano scriveva un botto, ma concludeva poco. Insomma, era uno di quegli autori molto entusiasti di tipo tutto.

Galvano però ci porta alla “certezza” che sì, nell’Italia del XIV secolo già qualcuno era consapevole che oltre l’Atlantico ci fossero delle terre abitabili e abitate. Molto prima del viaggio di Colombo.

La “scoperta” dell’America

Sussidariate anni Novanta a parte, è spaventosa la quantità di persone che credono che Cristoforo Colombo abbia davvero scoperto l’America, un doppio continente che va da un polo all’altro e che ha ospitato imperi, regni, coltivazioni, guerre, dinastie, società. E vedono in Colombo una sorta di illuminato guidato dall’italico genio che porta la civiltà agli sfacciati infedeli vestiti di foglie.
Il continente americano è stato un mosaico di culture complesse che ancora oggi facciamo una certa fatica a figurarci assieme, soprattutto in Italia. Ove entrano in campo nella nostra scolastica solo, appunto, quando si studia il Rinascimento, con l’anno cruciale del 1492. Solo in pochi casi si menziona la presenza di persone norrene che per almeno tre generazioni hanno vissuto nella parte nord del continente, e che per almeno trecento anni ci hanno commerciato.

Di contro, l’immagine che ci viene data da questa visione piuttosto limitata è che l’Europa fosse abitata da persone molto distratte. Non si sarebbero accorti dell’esistenza di terre molto vaste dall’altra parte dell’Atlantico. Finché un genovese al soldo della corona ispanica non ci è inciampato, e pure per sbaglio. Questa visione non tiene mai conto, appunto, di due fattori.
La tradizione orale, che porta chi commercia a non divulgare mai troppo certe conoscenze per limitare la concorrenza. E le società nordiche, che in Italia studiamo davvero molto poco sia come patrimonio letterario che come materiale presenza europea (vichinghi predoni / normanni in Sicilia).

Il saggio di Paolo Chiesa, professore all’Università degli Studi di Milano per appunto letteratura medievale latina, ricapitola la storia complicata di una parola, Marckalada. Da una parola, semplice parolina apparentemente innocua, si ricostruisce da una parte tutto un mondo. Dall’altra è il racconto molto appassionato e interessante di quante persone servono, umanisticamente, a ricostruire anche solo una parola.

Marckalada / America

Per chi non ha tanta confidenza con la cultura norrena, Marckalada è una parola molto strana da accostare al concetto di America o la più simpatica Vespuccia. Si tratta di una delle varianti italiane di un termine norreno, markland. Parola che emerge nelle saghe e nella topografia norrena che riguarda proprio il nord America. Quando le prime comunità nordiche si sono insediate, dalla Groenlandia al Canada (le altre sono Helluland e Vinland). Questi luoghi sono rimasti nella memoria delle saghe epiche, quando si canta di personaggi noti e meno noti a noi.
In seguito queste saghe sono rimaste come racconti di gesta epiche. In alcuni casi, come significanti di comunità intere che, in zone estreme come l’Islanda, diventavano sempre più sottili. Gli insediamenti in Groenlandia sarebbero andati estinguendosi a causa delle sempre più precarie condizioni climatiche, unite al consumo di risorse. Degli insediamenti in Nord America, della Marckalada abitata, non è dato sapere del loro destino, se estinti per cause naturali o umane.

Queste saghe hanno zigzagato per i mari, rimbalzando di corte in corte. Quindi non è strano pensare che questi termini fossero in qualche modo almeno appena noti alle orecchie di chi, nelle corti, ci lavorava. Come il Galvano Fiamma a Milano, che si appunta nei suoi lavori questa strana parola assieme ad altre.

Il saggio parte da qui, e costruisce tutta la ricerca filologica di ciò che era America.

Alla ricerca delle terre gelide

Il saggio parla del processo di ricerca attorno a questo termine. Di tutta la complessità che riguarda ricerca storica, filologica, culturale, tra ciò che resta dei manoscritti e confrontato con altre fonti, anche mitiche. Se vi interessa sapere come funziona una ricerca filologica – che ha occupato parecchie persone, per una sola parola- è la parte più interessante. Si tratta di dover rovistare tra manoscritti, archivi reali e digitali. Parlare con specialisti di altre materie e in altri paesi, fino a contattare le professioni più impensabili, e intanto si trovano anche altre cose. Un vero e proprio mistero da risolvere.
Io l’ho trovato davvero molto interessante, sia per i miei interessi personali sugli archivi e sul lavoro culturale quando interseca manoscritti, commerci e percezioni di diverse culture, sia perché banalmente ho personaggi che queste cose le vivono. La ricerca in archivio è avventurosa, avvincente, sorprendente. E’ qualcosa che dovrebbe essere molto più raccontato al di fuori degli immediati interessati, grazie a personaggi come bibliotecari, archivisti, storici, archeologi. Questo saggio da una visione molto profonda di questi lavori intellettuali.

Le parti che ho trovato più interessanti sono due. L’indagine filologica e il processo di lavoro, che può risultare magari complesso a chi non ha mai approcciato la materia. La parte dedicata ai commerci, sia nel Mediterraneo con Genova che nei mari del Nord. C’è anche una piccola quantità di informazioni latenti su altre isole e terre accennate nelle culture norrene e norreno-iberniane che mi sono piaciute moltissimo trovare assieme, seppur appena accennate.

Purtroppo queste parti sono meno approfondite perché il testo è molto italo-centrico, accentrato sui contenuti dei manoscritti e sul lavoro di ricerca e sulla vita intellettuale di Galvano. Il punto di vista quindi è proprio di una ricerca su un testo del medioevo italiano. Racconta il clima che si viveva nelle corti milanesi, nella società nord italiana e che dava poi a Genova, dell’importanza di documentazione anche per queste micro-storie di piccoli intellettuali, preti e bibliofili.

Parole disperse: da Marcklada a Milano

Tutti i concetti e le idee espresse sulle mappe fantastiche dai testi norreni e dai miti mi erano già familiari grazie alle mie conoscenze sulla mitologia irlandese, gallese e norrena. Forse questa è l’unica pecca perché da un po’ per scontato che si conoscano, e per un lettore nuovo possono essere difficili.

Ho trovato molto interessante gli accenni ai vari contesti in relazione a questa geografia semireale. Dall’esperienza diretta dei navigatori, è riuscita a spizzichi ad arrivare a un intellettuale molto creativo e fantasioso del milanese, a duemila chilometri e quattro linguaggi di distanza. Si tratta di vari nomi dati a isole, immaginarie e non, disperse nell’Atlantico, e nell’idea un po’ confusa che a sud la costa africana e quella americana a una certa si fondano. Seppur purtroppo appena accennato, si crea un paesaggio fantastico nell’Atlantico piuttosto simile, per percezione, a quello del mediterraneo omerico: un vasto mare ricco di insidie, ma anche di meraviglie, terre fiorenti e abitate, ove i norreni traevano i loro commerci più redditizi dall’avorio agli uccelli da preda.

La baia di Galway

L’ultima meta del viaggio è l’Irlanda. La leggenda narra che Cristoforo Colombo abbia avuto l’idea della rotta durante una visita a Galway, Irlanda.
La cosa in realtà non è così assurda: l’Irlanda è stata meta delle genti norrene fino allo stabilirsi di comunità, che l’hanno usata poi come ponte per i commerci con il Nord America, soprattutto dalla baia di Galway, ove sorgono le isole Aran rivolte proprio all’Atlantico. La cultura iberno-norrena era prettamente orale al di fuori della cerchia ecclesiastica, ed erano commercianti molto esperti. I tempi di Colombo però erano altri e posteriori, e forse di questo passato rimanevano solo frammenti di ricordi, seppur le rotte erano ancora saltuariamente battute nonostante le condizioni climatiche avverse.
Ma gli irlandesi a questa storia ci tengono moltissimo, quindi a Galway, nella collegiata di San Nicola c’è molto ribadita questa cosa: Cristoforo Colombo si è fermato qua. Ha parlato coi nostri pescatori del villaggio di Claddagh – noto per il famosissimo anello.
La chiesetta è visitabile nel centro di Galway. È molto graziosa ed è piuttosto antica. Fondata circa nel XIV secolo, nonostante il passaggio di Cromwell è riuscita a sopravvivere nelle forme ancora attualmente visitabili. Galway è stata una delle mie mete preferite durante il viaggio in Irlanda, sia la città che l’isola principale delle Aran. Una visita davvero incredibile dove è davvero molto evidente il rapporto che la comunità ha con il mare e l’oceano.

Note

Per una migliore fruizione del saggio, se la cultura nordica la approcciate per la prima volta, vi consiglio di recuperare l’eterno I Miti Nordici, di Gianna Chiesa Isnardi. Anche se è un po’ datato, contiene una parte dedicata proprio alle esplorazioni norrene in Nord America, con un breve spiego sulle terre principali: Markland, Helluland, Vinland, e sulle fonti di epica in cui potete trovarle, che potreste poi trovare nei testi editi dalla casa editrice Iperborea.

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