Chiantishire,  Cultura

Tarquinia e il nuovo “Mistero” etrusco

In queste ultime settimane ho concluso il volume 3 di Chiantishire, dove il nono capitolo è dedicato alla città di Tarquinia. Il volume ha debuttato al festival Arf! E in data 22 maggio ho potuto tenere un incontro al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia ( ne avevamo parlato anche qui e ). Sono abbastanza contenta di come mi sia riuscita la rappresentazione di Tarquinia nei suoi snodi temporali, dal villanoviano all’Orientalizzante. Ma è stato molto faticoso riuscire a reperire le fonti per farmi un’idea di come disegnare il tutto.

Pochi giorni dopo tutto ciò, esce sulle pagine di Tarquinia Project, il gruppo di archeologia ed etruscologia che è presente sugli scavi del pianoro su cui sorgeva l’antica Tarquinia dal 1982, una notizia. A breve pubblicheranno gli ultimissimi risultati di ricerche cross-scientifiche e in collaborazione con altri atenei. I risultati, che uniscono applicazioni statistiche a ricerche umanistiche, sono frutto di indagine su una serie di corpi inumati all’interno dell’area urbanizzata. Mi precipito subitissimo a leggere spinta dalla curiosità, e nonostante i grafici un po’ complicati per me scopro un’informazione interessantissima.
Senza l’archeologia, il cui ruolo è indagare ciò che è sopravvissuto nel tempo, perderemmo una serie di dati importantissimi. Il problema però è che quando li trovano, queste informazioni, spesso sono per la nostra società corrente sorprendenti. Non sappiamo bene come relazionarci a un dato che esula dalle nostre certezze pregresse. Ho titolato questo articolo un po’ provocatorio, ma alla fine in realtà non c’è nessun mistero etrusco.

La fiction storica: l’arte del compromesso

Una delle prime cose che ho deciso quando ho avviato il progetto di Chiantishire è che non ci sarebbe stato nessun mistero etrusco. Fino a oggi le comparsate degli etruschi nei fumetti li hanno sempre caratterizzate in due maniere. Fantasmi, spiriti o resti misteriosi e afoni che rilanciano l’idea di una civiltà misteriosa. O personaggi ormai pienamente romanizzati che si abbeverano dello stereotipo dello stregone / venditore di superstizioni. Con Chiantishire volevo dare rappresentazioni quotidiane. Per prima cosa ho cercato tantissime informazioni, più disparate, per una rappresentazione della civiltà etrusca nei suoi dieci secoli in cui da una parte vi era la quotidianità. Dall’altra la parte misterica era riservata a Dioniso e compagnia cantante. Uno tra tutti era capire come rappresentare Tarquinia, la città più importante etrusca e patria della protagonista.
Fare ricerca e documentazione per trame di fiction ambientate in periodi storici così antichi è molto complicato. Assieme alla scifi più hard, infatti, abbiamo un tempo di vita limitato delle nostre storie. Non è questione di se, ma di quando, verranno superate dalla realtà dalle scoperte scientifiche.

Dott. Ian Malcolm, Jurassic Park (1993)
Dott. Ian Malcolm, mio spirito guida dal 1993

La fiction storica è un lavoro sporco, ma…

Basta davvero un niente che, dopo che si ha pubblicato un lavoro con una certa struttura, la materia di riferimento se ne esce con nuovi risultati. Il più delle volte mandano gambe all’aria la tua sceneggiatura perché ti fanno saltare per aria la timeline, o c’è una nuova interpretazione, o dei dati riscrivono totalmente un aspetto che non avevi calcolato. È nella prassi delle cose: i prodotti di intrattenimento sono destinati a invecchiare e ad essere superati, sia per dialettica che per fonti utilizzate. A me capita piuttosto spesso di informarmi su un certo argomento e, una volta usato, puff!. Ma perché preferendo lavorare su periodi molto in là è normale.
Fare documentazione per un prodotto di fiction è molto complicato. Occorre cercare su tanti argomenti diversi e disparati, dalla dieta-tipo agli oggetti di rappresentazione del potere. E avere la prontezza di riflessi di discernere quali di questi sono realmente stati in uso e quali magari no.
Spesso le date non coincidono, un personaggio dovrebbe essere nel posto X e a noi serve nel posto Y. La trama ha esigenze emotive per un pubblico contemporaneo che quasi mai si accordano con animi del periodo in essere. La cosa più difficile di tutte è raccontare qualcosa di cui il pubblico ha delle aspettative molto diverse. Fare fiction storica, quale che sia il media, è quindi l’arte del compromesso. Per questo sostengo che tecnicamente non esiste la fiction storica, perché niente, niente, niente, è davvero storico al 100%. Ci avviciniamo molto, o molto poco, a seconda del titolo. Ogni prodotto, per agilità, per mancanza di fonti, per scelte autoriali, svincola sempre dai binari della ricerca. Banalmente, perché chi crea non può essere anche esperto in 12 discipline diverse. Questo succede anche per pochi dettagli.
Ecco perché da una parte noi autori e autrici possiamo contare sui dati pubblicati. Ecco perché sarebbe carino che gli specialisti capiscano queste nostre oggettive difficoltà (con la consapevolezza che moltissimi sono supercarini e disposti a darci una mano: Tarquinia Project mi ha aiutata per comprendere l’andamento di un grafico e una fotografia). Che ci si trovasse a metà strada, accettando ciascuno i propri “non lo so” e gli spazi vuoti che generano su cui lavorare.

In questo caso specifico, le scoperte appena pubblicate per la civita di Tarquinia, fortunatamente, non mi vanno a toccare la mia sceneggiatura, anzi!
Il dato molto interessante uscito, che di sicuro userò per il progetto che vorrei realizzare proprio sulla fondazione (“fondazione”) del centro abitato, riguarda effettivamente un mistero: gli inumati di Tarquinia.

L’inumata di Tarquinia

Vi invito ad approfondire tutto sui siti preposti e sugli articoli pubblicati, poiché io in questa sede semplicemente riporto il dettaglio direttamente dalla fonte principale per fare un discorso più ampio.
La notizia riguarda i resti di alcune delle persone inumate all’interno della Civita: cioè sul pianoro, e quindi all’interno dell’area urbanizzata di Tarquinia. Questi ritrovamenti sono particolari, perché gli etruschi preferivano l’incinerazione e poi la ritualità funeraria all’esterno dei confini civici. Dove banalmente avevi un sacco di spazio per costruire tombe e accampare strutture temporanee per la ritualità connessa. C’è infatti l’altro pianoro su cui sorge la necropoli, costellata di tombe e monumenti utilizzati nel corso della vita della città. Una sorta di città dei vivi e città dei morti.
Di conseguenza, le persone inumate (adulti e infanti) dovevano avere per la comunità un ruolo specifico al punto che la loro sepoltura non solo con un rito diverso, ma all’interno dei confini cittadini, ne era sinonimo. Poiché non sembrano emergere al momento dati coevi illuminanti (è un periodo in cui nessuno scriveva, soprattutto cronache), le teorie scientifiche sono molte, alcune davvero complesse e specializzanti da spiegare qui. Per Chiantishire ho scartabellato tantissimi articoli, alcuni davvero molto complicati.
Uno su tutti di questi dati appena pubblicati riguarda il corpo di una donna adulta. I dati analizzati dai suoi resti la identificano come, PLOT TWIST! una donna del Baltico.

“Olga” a Tarquinia

E ora, complice aver rivisto the Northsman pochi giorni fa (quanto amo questo film), ho salda l’immagine mentale fatata di sua maestà nostra signora Anya Taylor -Joy, “Olga della Foresta di Betulle”. Che purtroppo in italiano il doppiaggio ha per lei un approccio terribile, modello faccia l’accento svedese.

"THe Northman", con Anya Taylor-joy che interpreta Olga.

e camminando, camminando, camminando giù dal Baltico…

Questo dato mi ha stupito molto? In realtà no: io sono una teorica della grande mobilità delle età antiche. La gente si spostava, e pure tanto. Siamo noi che in coda alla formazione di stati nazionali dai confini serrati abbiamo perso con familiarità quest’idea.
La nostra Olga arriva dal Baltico, da cui tutto il resto d’Europa commerciava per l’ambra. Gli etruschi pure. Le vie commerciali sono antiche, battute, note, una rete di collegamenti su cui viaggiano persone, metalli, pietre preziose. Purtroppo non abbiamo altri dati sulla vita di Olga, la rende praticamente chiunque, salvo l’unica certezza è che è morta dall’altra parte del continente… O forse no? Perché le possibilità sono infinite. Era una sacerdotessa / schiava / sposata a / avventuriera / commerciante / era figlia di una coppia già scesa dal Baltico / ha avuto una vita infelice ed è morta lontana da casa / ha avuto una vita felice lontano da casa /etc. etc.

Informazioni nuove, spiegoni datati

Questo piccolo articolo infatti non è per parlare specificatamente di Olga. Perché Olga è solo una delle tante persone di cui non conosciamo niente. Appena qualcosa dalle sue ossa da cui, estrapolando i dati, ci testimoniano situazioni al di fuori delle nostre strutture mentali. Dopo secoli di sovracultura cattolica, all’affacciarsi dell’età delle scienze, si sono riversate in queste molti preconcetti. Facciamo ancora fatica a spiegare che i “vichinghi” non sono invasori con l’elmetto cornuto. In antichità le persone avevano di certo altre strutture sociali che noi fatichiamo a immaginare. Anche, e forse soprattutto, in luoghi che non ci sono sfavillantemente noti per essere il ‘centro della civiltà’, qualsiasi cosa ‘civiltà’ voglia dire.

È spesso molto difficile essere l’unica persona con un po’ di studi in Storia nella “stanza”, soprattutto l’unica donna. Per cui mi toccano spesso mansplanning basati sostanzialmente su nozioni da sussidiario delle elementari anni Novanta. Certamente ho bisogno dell’opinione di Gianspiego sulla vita delle comunità di caccia-raccoglitori. Soprattutto se c’è una cosa che Gianspiego ci tiene molto a dirmi è che è impossibile che delle persone di aspetto X possano essere nel posto Y nel periodo Z. Lui lo sa, ha ovviamente analizzato il codice fiscale di tutti. Per Gianspiego le mie vignette in cui disegno un Mediterraneo molto abitato sono certamente sbagliate.
Eppure io, che avrò pure i miei studi in storia antica e comunicazione storica, ma sono pur sempre una guitta che faccio fumetti e disegni, non posso far altro che leggere ciò che gli scienziati pubblicano anche al di fuori dell’immediato bisogno, anche solo per semplice interesse. I miei studi, artistici e storici, mi sono utili come ponte per comprendere chi queste cose le fa di mestiere. Non per saltarli o giudicare come finito.
Perché abbiamo ancora tanti preconcetti Ottocenteschi (spesso non ce ne accorgiamo nemmeno) che ancora ci garbano rispetto alla realtà dei nuovi dati. Perché tendiamo per nostra sopravvivenza mentale a cercare la semplificazione e la generalizzazione, e non che il mondo sia un posto complicato con vicende complesse che non tiene per nulla in conto dei nostri fugaci sentimenti. La gente ha sempre camminato, si è sempre spostata, ha sempre cercato di commerciare, scambi, e comunicare. Il commercio è un modo di progredire silente, miglio dopo miglio, che permette di raggiungere, o lasciare, mercati, e di certo molto più redditizio con ampi raggi che seguire le guerre.

Raccontare storie, così come fare ricerca, sono carriere in cui l’unica certezza è che non si finirà mai di imparare cose nuove. E di scoprirne sempre più di nuove ti permette di raccontare ancora nuove storie e nuovi scenari.

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